Dopo l’approvazione della nuova Legge sulla Cittadinanza italiana, gli onorevoli eletti nella Circorscrizione estera (USA) hanno punti di vista diametralmente opposti.
Di seguito, i due punti di vista.
L’onorevole Christian Di Sanzo (PD) nel suo intervento ha sostenuto si tratti di una “legge che ci riporta in pratica indietro di 30 anni a quando non esisteva la doppia cittadinanza”; un provvedimento con cui “oggi voi dite ai nostri giovani ricercatori, imprenditori, professionisti che se oggi se ne vanno dall’Italia li punite con la minaccia che i loro nipoti non potranno essere italiani”.
Nel testo, ci sono poi “altri aspetti volti solo ad ostacolare la vita degli italiani all’estero, come la registrazione entro un anno dei nuovi figli quando i nostri consolati sono già oberati di pratiche e molti richiedono appuntamenti per svolgere le pratiche di stato civile, appuntamenti che sono spesso molto difficili da trovare. Quindi, si rischia che molti giovani, neonati italiani perderanno il diritto alla cittadinanza solo perché non troveranno un appuntamento in consolato. Avete poi messo questo spartiacque tra prima del 27 marzo e dopo il 27 marzo per le pratiche di cittadinanza, creando caos e confusione negli uffici consolari, perché siete incapaci di gestire una transizione organizzata che poteva essere programmate e strutturata. E poi – ha ricordato Di Sanzo – solo grazie all’intervento del Partito Democratico siamo riusciti a salvare le pratiche di chi aveva già un appuntamento, il minimo che si potesse fare per evitare di passare come il solito Paese di Pulcinella dove si promette prima una cosa a persone che spendono migliaia di euro per ottenerla e poi a un certo punto si annulla tutto dicendo che abbiamo semplicemente scherzato”.
“L’unica notizia positiva di questo provvedimento è la possibilità del riacquisto della cittadinanza per chi l’ha persa prima del 1992”, ha osservato.


L’ Onorevole Andrea Di Giuseppe sostiene invece che :“Negli ultimi mesi il tema della cittadinanza ha occupato uno spazio centrale nel dibattito politico, spingendo molti, diciamo pure molti di quelli che da 30 anni hanno fatto finta di nulla, a confrontarsi improvvisamente sui limiti e le opportunità di un decreto-legge che, per la prima volta dopo decenni di immobilismo, affronta in modo chiaro e deciso la questione della cittadinanza italiana per gli italo-discendenti che vivono all’estero. Per comprendere a fondo le radici valoriali di questo decreto dobbiamo partire da un concetto che, forse, per molti colleghi suonerà quasi provocatorio: essere cittadini italiani non è un favore, non è un diritto automatico da cliccare online, ma è un onore. È un onore, sì, e non una scorciatoia da ottenere con 2 certificati falsificati, una mail al comune sbagliato e qualche consulente creativo. Questa parola “onore” non è scelta a caso”. Così Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia eletto in Centro e Nord America, ha introdotto il suo intervento con cui ha confermato il voto “convintamente a favore” del suo gruppo al decreto cittadinanza
Accusata l’opposizione di “immobilismo” e di opportunismo elettorale – “meglio non toccar nulla, dicevano, così non si sa mai, si perdono i voti nei collegi” – Di Giuseppe ha ribadito più volte che “per molti italiani nel mondo il legame con l’Italia non è solo burocratico, ma identitario”.